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Commemorare le vittime della mafia. Ora la Sicilia del cambiamento “vede” l’Europa | EDITORIALE

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Le recenti, e annuali, emozionanti commemorazioni delle vittime di mafia a Palermo (funzionari dello Stato, giudici e magistrati, politici regionali, imprenditori e giornalisti palermitani come Mauro De Mauro e Mario Francese, rispettivamente del giornale L’Ora e del Giornale di Sicilia) evidenziano il cambiamento culturale, politico, economico e sociale in atto ormai da anni, sin da quando il maxi processo tenuto, con istruttoria del giudice antimafia Giovanni Falcone, nel bunker dell’Ucciardone di Palermo indicò, e condannò, boss e mandanti del fenomeno mafioso, ponendo a nudo il sistema verticistico di Cosa Nostra siciliana; e pone la Sicilia ancora in primo piano nella lotta contro il potere dell’organizzazione criminale, ribadendo i suoi valori civili e di crescita economica-sociale. Vero è che alcune amministrazioni comunali sono in stato di commissariamento per infiltrazione mafiosa, vero è che sistemi corruttivi vengono ancora stroncati da giudici e Forze dell’Ordine, ma è anche vero che i Comuni rappresentano oggi, nella maggioranza, la risorsa del cambiamento nelle diverse realtà locali.

Nel complesso, è tutto il tessuto sociale, politico regionale, produttivo che è spinto sul percorso positivo istituzionale; la Sicilia è terra di altruismo, ospitalità, di programmazione per un futuro aperto allo sviluppo economico e all’integrazione umana, e questo giova soprattutto al rapporto, un tempo alquanto impossibile, tra la Sicilia, e realtà del Mezzogiorno, e il mondo economico e produttivo del Nord in cui sono inseriti nuclei di lavoratori e professionisti siciliani e meridionali in genere, ognuno, per ciò che gli compete, impegnato nella causa comune: il benessere del Paese e delle famiglie.

Su questo cammino del cambiamento, sono anche quei settori politici e produttivi  che nel passato erano chiusi a riccio a ogni dialogo costruttivo con il Meridione e a immigrazioni dal Sud al Nord. Anche da quelle parti, si è scoperto il valore di unità italiana, hanno ammainato i vessilli del malcontento, cancellati slogan anti-meridionali, i raduni di protesta contro chi era contrario a ogni principio autonomistico.

Sull’argomento, viene proposta, a proposito dell’Autonomia siciliana, in vigore dal 1946, la domanda: che senso ha oggi parlare dello Statuto di economia amministrativa siciliana? Secondo  il governatore della Regione Sicilia, Nello Musumeci, non ha più senso perché c’è l’organizzazione, ma manca la politica. Musumeci ne ha parlato, 5-6 marzo, a Villa Cerami di Catania nell’incontro con gli studenti di Giurisprudenza; non ha senso, ha spiegato il governatore, concepita come in questi anni perché “come diceva l’indimenticabile Piersanti Mattarella, non ha mai avuto le carte in regola per il confronto col governo centrale. In questi anni ci si è mossi vivacchiando solo nella logica di eventuali privilegi che derivano dallo Statuto. Bisogna – ha ancora detto Musumeci tornare all’autonomia della responsabilità a scapito di quella del privilegio. La Sicilia è cuore del Mediterraneo, dobbiamo diventarne il centro economico e culturale. C’è bisogno di nuovo accordo con lo Stato e l’Unione europea. Si parta dalla riforma degli enti locali, da un patto coi cittadini. Attorno a questi temi si può consegnare alla Sicilia un autonomismo svuotato dall’egoismo di molti di noi”. Insomma, cambiamento a vasto raggio per la Sicilia che guarda all’Europa.

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