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Dolore e pianto per le stragi mafiose, ma a Palermo la dignità cresce con la legalità | EDITORIALE

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Palermo 20 e 21 marzo 2021, celebrate le commemorazioni delle vittime della mafia. Giudici, magistrati, funzionari di polizia, ufficiali dei carabinieri e loro uomini, politici e giornalisti, agenti di PS e carabinieri delle scorte ai magistrati; il ricordo va pure a Piersanti Mattarella, giovane e coraggioso Presidente della Regione Sicilia, ucciso in prossimità della chiesa in cui la vittima si stava recando, con moglie, i figlioletti e suocera, alla Messa dell’Epifania, 6 gennaio 1980 per i palermitani tradizionale giorno di preghiera, di allegre riunioni di famiglia, di gite in campagna, di spaghettate all’osteria, di gioia per i bambini. Piersanti, ferito a morte con colpi di arma da fuoco sparati a freddo, spirò tra le braccia del fratello Sergio che con la sua auto precedeva quella caduta nell’agguato. Dolore e pianto, corone e fiori della Sicilia del cambiamento, della nuova produttività, dei nuovi finanziamenti, della ripresa della legalità, degli aiuti a imprese e famiglie. Il cambiamento che voleva Piersanti Mattarella e per tale motivo Cosa Nostra siciliana lo volle fermare per sempre.

All’apertura del maxi processo a Cosa Nostra siciliana, nell’aula bunker dell’Ucciardone, a Palermo nel 1986, e che riguardava il periodo di terrore tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, la Sicilia e il suo popolo, cominciarono a respirare, finalmente, aria pulita. Nella relazione introduttiva, il Presidente della Corte d’Assise disse che era il processo a Cosa Nostra siciliana, organizzazione mafiosa di violenza e intimidazioni e che semina morte.

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Palermo, Monumento ai caduti nella lotta alla mafia. © CRONACA DI SICILIA

La domenica dell’Epifania, nel 1980, cadeva nell’agguato mafioso Piersanti Mattarella, 44 anni, Presidente della Regione Sicilia, e nel 1982 in via Carini a Palermo era stato assassinato con la moglie il Prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa; il 5 agosto del 1989  furono uccisi il poliziotto Nino Agostino e sua moglie e giorni fa il giudice ha condannato all’ergastolo il mafioso Nino Madonia mentre due suoi complici saranno giudicati tra breve; nell’agosto del 1991 cadde sotto gli spari dei killer di mafia l’imprenditore palermitano Libero Grassi perché si era opposto alle richieste del pagamento del pizzo; uomini che si battevano per la legalità in Sicilia e per il rispetto delle Istituzioni.

Nel 1984, Tommaso Buscetta rivelò al giudice Giovanni Falcone l’organigramma di Cosa Nostra siciliana, il suo sistema verticistico, i suoi boss come capi mandamenti nei quartieri storici della città, fece nomi e fornì le più ampie informazioni su traffici di armi e droga, già denunciati da Boris Giuliano, capo dell’investigativa della squadra mobile di Palermo, e dopo assassinato dai sicari mafiosi.

Il grande processo alle “famiglie mafiose”, a mandanti e boss-killer, a politici e sindaci corrotti, si incentrava sull’istruttoria del giudice antimafia Giovanni Falcone e sul grande lavoro investigativo del “gruppo ” di giudici – cui facevano parte Paolo Borsellino, Leonardo Guarnotta e Giuseppe Di Lello Finuoli -, guidato dal giudice Caponnetto. A sua volta, l’istruttoria processuale di Falcone teneva in debita considerazione le dichiarazioni Tommaso Buscetta, ex capo dell’organizzazione mafiosa, rese, probabilmente, per vendicarsi di Cosa Nostra, mandante delle uccisioni dei suoi familiari, svelando come gli interessi della “Cupola” nel tessuto civile-economico-politico, e come era articolata la sua presenza occulta nei comuni e mandamenti storici di Palermo.

Con l’apertura del processo i siciliani speravano che iniziasse un futuro di serenità nella vita pubblica e privata, anche se erano in corso altri filoni di inchieste quali quelle su “sacco” edilizio di Palermo e sui mandanti ed esecutori dell’assassinio di Piersanti Mattarella. Ma la speranza ebbe breve durata, dopo le condanne agli incriminati capi e gregari killer: l’uccisione del giudice Giovanni Falcone e subito dopo quella di Paolo Borsellino, fecero  tornare il clima di paura con la città posta sotto controllo delle Forze dell’Ordine.  Dopo anni, il clima del cambiamento, fortemente voluto dalla politica siciliana unita per la legalità e da tutto il settore sociale ed economico, sembra sereno, anche se non bisogna abbassare la guardia.

Cosa Nostra, in concorso, si sospetta, con altre mafie, nel Napoletano e nel Calabrese, ha spostato il suo  raggio d’azione – otre che su quello internazionale col traffico clandestino di armi e quello della droga – in tutto il territorio nazionale, con estorsioni, riciclaggio di denaro, infiltrazioni in ambienti economici. Numerosi, nel frattempo, gli arresti eseguiti da polizia, carabinieri e GdF, e sono in atto numerose inchieste delle Procure, perquisizioni di presunti covi mafiosi, di confisca di possedimenti in mano alle cosche. Lo Stato non dorme.

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