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Teatro, tutto pronto per “Il Derviscio di Bukhara” di Alberto Samonà: ecco quando

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Martedì 16 luglio, alle 21,30, al Teatro del Baglio di Villafrati (Pa), in via De Gasperi 78, per il Festival del Baglio andrà in scena “Il Derviscio di Bukhara”, spettacolo scritto e diretto da Alberto Samonà, che conduce il pubblico fra le magie dell’Oriente e dell’Asia: un viaggio, che attraverso narrazione, musica e danze sufi e persiane, permette di incontrare la spiritualità dei dervisci, di cui Bukhara, città nel cuore dell’Asia Centrale, fu in vari periodi uno dei centri più importanti.

In scena Stefania Blandeburgo e Davide Colnaghi (narrazione e teatro). Musica e canti sufi originali e della Tradizione con Tito Rinesi & Ensemble DargahTito Rinesi (voce, tamburo a cornice, saz), Piero Grassini (oud e voce), René Rashid Scheier (flauto ney) e Flavio Spotti (percussioni e voce). Danze dei dervisci e coreografie con Grazia Cernuto (danze persiane) e Silvia Layla (danze sufi). Il testo è del giornalista e scrittore Alberto Samonà. Produzione “Terzo Millennio Progetti Artistici”. Il costo per l’ingresso è di 5 euro: i biglietti sono acquistabili QUA.

Tra simboli, racconti e analogie proprie del Sufismo, “Il derviscio di Bukhara” non è uno spettacolo teatrale, musicale o di danza, ma un invito alla ricerca interiore e alla scoperta di un universo che si dischiude in una dimensione senza tempo, ancorché antica di secoli. Un gesto di ringraziamento e al tempo stesso, una preghiera. È un incontro fra tradizioni: la spiritualità dell’Asia Centrale, le danze dei dervisci e quelle di più marcata influenza persiana, la musica sufi dell’area turco ottomana e del vicino Oriente e le narrazioni circolari e rituali dell’Asia. Un incontro che è metafora di un viaggio lungo la “Via della Seta”, di cui la città di Bukhara fu tappa fondamentale, meta di viaggiatori di ogni provenienza che attraversavano vasti territori su questa rotta che congiungeva e congiunge, spiritualmente e culturalmente, Oriente e Occidente, fino al Mediterraneo.

Al centro della vicenda narrata c’è l’arte dei tappeti, che in questi luoghi si tramanda da sempre e che schiude alla conoscenza di antichi saperi. Ma è anche un racconto d’amore: fra i riferimenti e le fonti a cui si ispira lo spettacolo, infatti, vi sono fiabe e poemi orientali, fra cui la storia di “Leyla e Majnun” di Nizami Ganjavi, poeta persiano del XII secolo d.C. Il testo è, inoltre, arricchito dall’inserimento di racconti della tradizione del Sufismo. Le armonie musicali e i canti patrimonio dei dervisci accompagnano sovente il sacro rito dello zhikr e le danze danno la possibilità di scoprire un universo sacro che congiunge il nostro piano con quello Divino.

Allo stesso modo, il ritmo della voce completa l’opera in una “circolarità rituale”, propria della tradizione dei cantastorie erranti d’Oriente. “Il derviscio di Bukhara” può, dunque, essere considerato come la ricerca di un incontro con il piano universale, che avviene mediante la parola, il suono e il movimento.

 

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