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“Se vuoi lavorare, niente figli”, e per le donne di Sicilia è crisi sociale | Editoriale

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In questo ansioso periodo di Covid, la crisi sociale apre squarci preoccupanti anche nel settore del mondo del lavoro femminile in Sicilia; i sogni di un matrimonio felice e delle nascite svaniscono per i tanti problemi sociali ed economici, non costituiscono più elemento di vita prioritario; è quanto sostengono studi sociologici e si ottiene dai censimenti comunali sul tema della carenza demografica. Pertanto, sono sempre meno le famiglie con più figli. La colpa è il poco sostegno economico alle famiglie, in Sicilia più grave rispetto alle altre regioni italiane, a fronte del lavoro contrattualmente sottopagato offerto alle giovani donne nei vari settori produttivi e con la difficile alternativa: o casa, o lavoro; niente mamme al lavoro, si rischia la carriera. Se si sceglie il lavoro – il pensiero corrente -, la famiglia ha poco spazio per formarsi e crescere, perché le tante disuguaglianze, oggetto di dibattiti politici e sindacali, sarebbero, in Sicilia, di scarsa considerazione nel confronto generale.

Disuguaglianze nel lavoro, ma anche nella politica siciliana: all’orizzonte, pochi correttivi, dalla politica al lavoro, idonei a far valere meriti e competenze, ha detto il deputato regionale PD, Barbagallo, in un dibattito all’Assemblea regionale siciliana (come Cronaca di Sicilia ha riferito il 15 marzo), unendosi a quanti, sull’argomento, hanno auspicato interventi ad hoc. Ma, come di solito accade, sembra che le buone idee abbiano difficoltà a decollare in ossequio alla tradizionale politica del rimando ad oltranza e nelle legislature da venire; o più da vicino, siano oggetto, esclusivamente di parte, in tempo di elezioni regionali e comunali. Così è sempre stato.

È questione di cultura, che non è quella depositaria di gelosie, di veleni, di prese di posizioni personali, ma è quella in cui ci sia partecipazione alla convivenza civile e riconosca, con spirito liberale, meriti e competenze professionali e di lavoro. Questa nostra generazione di donne non rappresenta più quella di cinquant’anni, o di trent’anni fa: è decisa a far valere i propri di diritti di donna nella società, è supportata da una cultura aperta fornita dalle università e dalle scuole, sa conoscere e apprezzare i sacrifici di una famiglia a disagio economico, e sarebbe in grado di far sentire la sua voce se non fosse per l’organizzazione burocratica chiusa a doppia mandata nel cerchio che chiude ogni porta al dialogo costruttivo e che ricorda il concetto gattopardiano costruire, cambiare e distruggere perché nulla cambi.

Nonostante i desideri di cambiamento della società,  la matassa della burocrazia culturale sembra difficile scioglierla. Ma poiché l’ottimismo non deve mai mancare, così come la speranza, è auspicabile che si sappia sciogliere, non con chiacchiere, per le donne il primo nodo della matassa, il varo, per legge, delle pari opportunità contrattuali previste per tutte le categorie lavoratrici e professionali.  Sarà una buona partenza, anche per i sindacati.

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