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Caso Denise, quei dialoghi “a mezza bocca” per non parlare di mafia | EDITORIALE

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“Chi sa parli “, è il grido di Piera Maggio, la mamma della piccola Denise sparita 17 anni fa mentre giocava in strada, sotto casa sua. Come il nostro “Cronaca di Sicilia” ha ampiamente riferito, quel grido è ancora una volta inascoltato, dopo che perquisizioni a sorpresa sono state eseguite in un garage di via Pirandello di Mazara del Vallo, ma, pare, senza esiti positivi. Ancora un depistaggio sulle indagini in corso? “Finché non saprò la verità su mia figlia – dice Piera Maggio – non smetterò di lottare”. Fonti inquirenti affermano, in via ufficiosa, che in tutti questi lunghi anni di ricerca, sono stati raccolti indizi slegati tra di essi, ma basterebbero altri due o tre elementi indiziari per poter collegare tutta l’inchiesta.

Rispettiamo il riserbo degli inquirenti, sperando che si raggiunga in breve tempo a una conclusione definitiva delle indagini, nell’ambito del clima omertoso che copre la triste vicenda e che emerge dalle numerose dichiarazioni “a mezza bocca” per dire e non dire nulla, lasciando nel dubbio totale. E si dice, a Mazara, che già parlare a mezza bocca sia sintomo di un lieve cedimento del muro di omertà ancora non colpito dal coraggio intelligente di “chi sà, parli”. Sembra, comunque, che la vicenda Denise si debba circoscrivere, unitamente a presunte fughe di notizie, nella cerchia dei rapporti tra alcuni protagonisti e l’appoggio, per complicità, della mafia locale.

Se è così, quali interessi gravano tra i motivi del rapimento della bimba rapita e mafiosi ? Nessuno pronuncia la parola “mafia”, e in chi si sofferma a parlare con i giornalisti, usa una terminologia tentennante tra i “non so”,siamo vicini a quella mamma, ma non abbiamo visto e sentito nulla”, e c’è chi rincara la dose con il dire “qualcuno sa, ma ha paura di parlare”. In Sicilia si è abituati, purtroppo, a questo tipo di fraseggio, come fosse normalità quotidiana, che ostacola parecchio il corso delle indagini su qualsiasi caso criminale, perché “immischiarsi” delle vicende altrui è come essere dei “spioni” della magistratura o delle forze dell’ordine. La fiaccolata che è stata organizzata affinché Denise venga ritrovata, è stato un atto di affetto, o un atto dovuto, verso la mamma disperata, ma nulla più.

Nemmeno gli appelli del Vescovo e del sindaco sono riusciti a risvegliare le coscienze e il coraggio di quanti sono in grado di fornire utili informazioni, anche anonime, agli inquirenti. Eppure, Mazara del Vallo, non è tutta omertosa; la maggioranza dei sui abitanti è composta da brava e onesta gente, che lavora, che ama la famiglia; è il sottobosco della minoranza che inquina il sano ambiente, ed è l’antica mentalità radicata che ancora ha seguaci nel tessuto sociale e contro cui magistrati e uomini al servizio istituzionale si confrontano giorno dopo giorno.

La vicenda di Denise va oltre alla comune o mafiosa condizione di inquinamento: è il sentimento di vergogna che si prova nella onesta Sicilia (e non solo) per il rapimento di una bambina (o dei bambini in genere) da parte di gente senza scrupoli, priva di umanità e che, magari, si reca a pregare in chiesa per nascondere, sotto il velo della pietà, la prorpria attività criminale. Si ricordi quando Papa Giovanni Paolo gridò ai mafiosi, da una piazza siciliana “Convertitevi!”. Ma anche questo appello è stato accolto dal silenzio omertoso.

 

 


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